Il ragazzo si annoiava molto.
Aveva deciso di annoiarsi e ci stava riuscendo.
Guardava alternativamente e senza uno schema tangibile fuori dalla finestra allo schermo del Mac e alle carte.
Muoveva la testa senza fretta, ma al contempo con una velocità non mortifera tale da creare quella impressione di sdegno che hanno i gatti e soltanto i gatti.
Fuori dalla finestra le stagioni si stavano mescolando come cavallette di specie diverse. Creavano turbinii che mescolavano dettagli di entrambe, fino a che si creano varianti nuove e non simili in alcun modo alle precedenti. Il sole invadeva arrogante il terrazzo delicatamente vuoto, facendo capolino dalle foglie degli alberi di fronte. Lui poteva chiaramente scorgere i rami più alti senza muoversi dalla porta finestra, dato che si trovava al secondo piano.
Lo schermo del Mac era la seconda finestra della casa, quella più obnubilantemente piacevole. Si vedeva una distesa di fenicotteri rosa. Il Mac se ne stava sul tavolo senza emettere il minimo suono, la minima richiesta di attenzione. I suoi occhi chiari passavano da un tasto all’altro senza meta precisa, senza una vera ragione di essere, senza una concezione vera e propria del perché delle cose. Guardava le Icone del Dock studiandole e cercando di capire perché le avesse disposte in un dato ordine, chiedendosi se fosse corretto persino cercarvi nonché trovarvi un ordine, chiedendosi se ciò fosse appropriato per i suoi princìpi di distacco.
Le carte se ne stavano perfettamente adagiate nella loro perfettibilità completata.Le dieci carte erano state disposte con cura vicino a una candela ai frutti rossi accesa senza un perché specifico accompagnata nella produzione di fumo da una tazza di Earl Gray che, più che delizioso, era coreografico. La sua mano aveva sparso le carte velocemente e in maniera sistematica nonché ritmata. Terminato quel lavoro aveva messo in pari il mazzo sbattendone delicatamente un lato sul tavolo, quindi l’aveva appoggiato accanto alla candela e si era fermato a riflettere. Non gli era mai piaciuto avere la carte della Morte nel triangolo del futuro. Prese il mazzo con la destra, lo passò nella sinistra e coprì perpendicolarmente la Morte con un’altra carta trasportata con indice e pollice della destra. Appoggiò il mazzo di nuovo con la destra e girò la carta meccanicamente e necessariamente. Il tre di coppe sembrava ora rischiarare tutta la lettura e portare giustizia nella situazione. Il ragazzo stava adesso fissando le carte dalla finestra con l’Earl Gray accoccolato tra le mani, con gli occhi che andavano progressivamente a riacquistare fuoco. Sorgeva in lui il desiderio di leggere le carte di nuovo. D’altra parte voleva solo andare a dormire e rimandare al giorno dopo le semplici soluzioni della lettura. Non serviva certo una dote deduttiva impressionante per giungere alle più che ovvie conclusioni.
Vedeva ora oltre il pieno dell’universo. Vedeva ora l’entropia basilare che scuote le fondamenta del percepibile. Vedeva il vuoto e si accontentava di avere allargato i suoi orizzonti fino alla fine dell’Universo. Non gli importava del peso enorme di quel fardello: chi più sa più soffre.
“Non c’é alcuna alternativa razionale al dolore” si ripeteva come un mantra sacro e profano al contempo mentre l’ultima goccia di quel tè aristocratico gli scivolava in bocca.
“Cosa siamo noi in fondo se non particelle in grado di soffrire per dimostrare a Dio la sua infinita bontà? Se noi non soffrissimo non vivremmo affatto, poiché non ricercheremmo Dio, e una vita vissuta senza cercare Dio é una vita dal senso più che futile. Dio ci ha dato il dono più grande di tutti: il Dolore” disse mentre finiva di prepararsi, realizzando che nessuna religione avrebbe mai potuto dirgli nulla di sensato riguardo al Principius Principiarum, salvo ispirarlo nel ricercarlo.
Si abbottonò il pigiama e andò a dormire.
Mari Francesco
Mari Francesco
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